LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE LEGGE "MERLIN"

CORTE DI APPELLO DI BARI TERZA SEZIONE PENALE
La Corte d'Appello di Bari - III Sezione Penale
riunita in Camera di Consiglio nelle persone dei sigg. magistrati:
dott. Marcello De Cillis Presidente;
dott. Adolfo Blattmann D'Amelj Consigliere rel.
dott. ssa Margherita Grippo Consigliere
ha pronunciato la seguente ordinanza, ex art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87, di rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell'art.3 comma primo nr. 4) e nr.8) della legge 20 febbraio 1958 n. 75, nel procedimento nr. 3237/16 nei confronti, tra gli altri, di: Tarantini Giampaolo, Beganovic Sabina, Faraone Pierluigi, Verdoscia Massimiliano imputati come di seguito indicato.
2. Nel corso del suddetto giudizio di primo grado tenutosi dinanzi al Tribunale di Bari, II Sezione Penale, esaurita l'istruttoria dibattimentale, all'udienza del 9.11.15 gli avv.ti Gioacchino Ghiro e Ascanio Amenduni, nell'interesse dell'imputato Verdoscia Massimiliano, sollevavano eccezione di illegittimità costituzionale degli artt. 3 n. 4), 5) ed 8) della 1. 75/1958 nella parte in cui prevedono come reato o sanzionano con la medesima pena edittale i reati di reclutamento, induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione quando la stessa sia volontaria, consapevole e professionale piuttosto che svolta in modo coatto o per bisogno economico, per contrasto con gli artt. 2, 3, 13, 25 e 27 della Costituzione, ovvero con i principi di uguaglianza, libertà sessuale, autodeterminazione, nonché di legalità, offensività, tassatività e proporzionalità della
pena.
L'adito Tribunale respingeva altresì le eccezioni di illegittimità costituzionale sollevate dai difensori degli imputati per difetto dei presupposti di cui all'art. 23 L 87/53.
All'udienza del 21.12.17 i difensori degli imputati hanno rassegnato le loro conclusioni in merito alla riproposta eccezione d'incostituzionalità con rinvio all'odierna udienza per brevi repliche, al cui esito questa Corte ha pronunziato la seguente ordinanza
La rilevanza dell'eccezione d'incostituzionalità nell'ambito del presente giudizio di appello.
6. Va subito evidenziato come la decisione in merito all'eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 3 comma primo nr. 4 ed 8), 4 nr.7) L.75/58 sia certamente rilevante ai fini del presente giudizio di appello.
Invero è di tutta evidenza come il suo eventuale accoglimento in relazione al reato di reclutamento ai fini di prostituzione comporti la riforma delle pronunzie di condanna intervenute in prime cure con assoluzione di tutti gli imputati dalla suddetta imputazione perché il fatto non sarebbe più previsto dalla legge come reato.
Né può assumere rilievo in senso contrario la circostanza per cui taluni reati oggetto di statuizione di condanna si siano medio tempore prescritti, in quanto la rilevanza della sollevata eccezione permane in ragione del maggior favore della formula assolutoria piena rispetto alla pronunzia di non doversi procedere per estinzione del reato.
Parimenti la rilevanza della questione di legittimità costituzionale permane anche con riferimento al reato di favoreggiamento dì cui all'art.3 comma primo nr.8 prima parte L. 75/58, in quanto in merito allo stesso il Tribunale di prime cure ha solo stimato assorbita la relativa fattispecie delittuosa nel reato di reclutamento, in buona sostanza pervenendo ad un accertamento di penale responsabilità degli imputatati non traducibile in statuizione di condanna per ragioni di continenza.
Ne consegue che, ove nel corso del giudizio di appello dovesse essere riformata la pronunzia di condanna per il reato di reclutamento a fini di prostituzione, si rinnoverebbe la necessità di valutare la penale responsabilità degli imputati in relazione al reato di favoreggiamento, sicché l'eventuale accoglimento dell'eccezione d'incostituzionalità della relativa norma penale imporrebbe di definire il giudizio con pronunzia assolutoria perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.
La questione d'illegittimità costituzionale in relazione alla violazione dell'art. 2 della Costituzione.
7. Ciò premesso e venendo al cuore della problematica deve osservarsi come le condotte ritenute penalmente rilevanti nel presente processo siano integrate dall'aver gli imputati organizzato, in favore dell'allora premier Silvio Berlusconi, incontri con escort occasionalmente o professionalmente dedite alla prostituzione, richiamandosi in proposito la più comune e consolidata accezione del termine "escort" che identifica concettualmente l'accompagnatrice ovvero la persona retribuita per accompagnare qualcuno e che è disponibile anche a prestazioni sessuali, con esclusione, quindi, di quelle forme di esercizio coattivo della prostituzione ovvero necessitato da ragioni dì bisogno.
Dunque le condotte di reclutamento e favoreggiamento della prostituzione si vanno a collocare nel presente giudizio in un contesto operativo sgombro da costrizioni incidenti sulla libera determinazione della prostituta al compimento di prestazioni sessuali a pagamento, tanto più che la medesima L. 75/58 si ritiene, ad avviso dei giudici di prime cure, presupponga proprio l'assenza di condizionamenti della volontà nel momento della deliberazione iniziale della prostituta ad esercitare il meretricio.
Il fenomeno sociale della prostituzione professionale delle escort costituisce allora la novità che va a connotare il presente processo e che inevitabilmente pone la necessità di richiedere un nuovo vaglio di costituzionalità della Legge Merlin, concepita in un'epoca storica in cui il suddetto fenomeno non era di certo conosciuto e neppure concepibile: non a caso i precedenti interventi della Consulta in relazione alla L. 75/58 non hanno in alcun modo affrontato le problematiche connesse all'emergenza del fenomeno della prostituzione professionale delle escort ed hanno avuto quale
prospettiva valutativa quella della costituzionalità della normativa con riferimento al principio di legalità di cui all'art.25 Cost.
Ben altro scenario valutativo sì pone invece nell'ambito del presente processo penale centrato, proprio in ragione della suddetta premessa fenomenologica, sull'affermazione del principio della libertà di autodeterminazione sessuale della persona umana; libertà che sì estrinseca, nel caso delle escort, attraverso il riconoscimento del loro diritto di disporre della sessualità nei termini contrattualistici dell'erogazione della prestazione sessuale contro pagamento di denaro o di altra compatibile utilità.
Siamo in presenza di un diritto costituzionalmente garantito, avendo proprio la Corte Costituzionale, con la pronunzia nr. 561/87, sancito essere la sessualità "uno degli essenziali modi di espressione della persona umana " sicché "il diritto di disporne liberamente è senza dubbio un diritto soggettivo assoluto, che va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l'art. 2 Cost. impone di garantire".
Orbene, il principio del libero esercizio della prostituzione ha sicuramente accarezzato anche il legislatore del 1958, avendo invero avuto la Legge Merlin il precipuo e titolato fine di impedire forme di sfruttamento della prostituzione, ma non vi è parimenti dubbio che la libertà considerata da tale legislatore sia stata intesa come libertà della prostituzione da forme di asservimento della stessa all'altrui potere organizzativo (tanto da comportare la definitiva abolizione dell'esercizio strutturato di case di prostituzione), laddove il concetto di libertà, cui parametrare oggi la valutazione di costituzionalità della normativa in esame, si arricchisce di una connotazione ben più positiva e piena, che la riguarda non come libera scelta rispetto al potere esterno di imprigionarla in ambiti di controllato esercizio ma come modalità autoaffermativa della persona umana, che percepisce il proprio sé in termini di erogazione della propria corporeità e genitalità (e del piacere ad essa connesso) verso o contro la dazione di diversa utilità.
Nello specifico il fenomeno oggetto del presente processo riguarda l'osservazione di condotte di donne che hanno liberamente scelto di operare lo scambio contrattualistico tra il piacere procurato a terzi mediante la libera cessione della loro sessualità e quello di poter acquisire vantaggi economicamente apprezzabili; scambio che sicuramente era già tipizzato nelle forme di meretricio attenzionate dalla Legge Merlin ma che l'attuale contesto storico sociale impone di reinterpretare non solo nella prospettiva della tutela dall'incombenza organizzativa di chi vuole profittare di tale esercizio ma nei termini di una protestata forma di affermazione identitaria, attingendo la libertà di autodeterminazione sessuale alle più profonde radici della persona umana che per tale scelta paga un prezzo di collocazione identitaria e sociale altissimo, assumendo un ruolo sociale ben definito e stabilizzato.
Ed allora tale scelta ovvero quella di elargire sessualità lucrativa, proprio perché non può connotarsi in termini di significanza marginale, esige l'accesso ad una pluralità di livelli valutativi della sua tutela costituzionale.
Non a caso, a riprova di quanto intima e totalizzante sia la scelta genetica delle escort all'esercizio consapevole del meretricio, la sentenza di primo grado, censurando ogni comportamento di terzi che intercetti l'area di tale primigenia libertà di esercizio, conferma il giudizio di costituzionalità delle disposizioni relative alle condotte di reclutamento e favoreggiamento della prostituzione in quanto affermative della lesione di tale esclusiva ed intangibile libertà.
Ma il capovolgimento della prospettiva valutativa del concetto di libertà all'esercizio prostitutivo che il fenomeno delle escort comporta rende necessaria la rinnovazione della valutazione di costituzionalità delle norme (della Legge Merlin) che, rispetto a tale espressione di libertà, si connotino per il carattere di oggettiva strumentalità ausiliatrice che la condotta in esse tipizzata descrive.
La collocazione della libertà di autodeterminazione sessuale nell'ambito della tutela accordata dall'art.2 della Costituzione per il quale "la Repubblica riconosce e garantisce ì diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità" impone allora una particolare analisi del vaglio di costituzionalità, quanto meno sotto quello di squisita competenza remittente di non manifesta infondatezza, proprio con riferimento alla natura inviolabile del diritto tutelato nonché alla garanzia che lo Stato assicura a esso in ragione di tale inviolabilità: in albi termini il concetto d'inviolabilità del diritto alla consapevole e libera autodeterminazione sessuale, riguardando anche quello delle escort che tale autodeterminazione sessuale scelgono nella veste contrattualistica dello scambio tra fisicità e lucro, comporta di dover verificare se le condotte di cui all'art. 3 comma primo nr.4) e 8) L. 75/58 siano capaci di ledere tale diritto ovvero sia forma di violazione dello stesso proprio il prevedere la loro penale illiceità.
Infatti, se diritto inviolabile della persona umana è quello alla libera sessualità autodeterminata, ne discende l'inevitabile caducazione di qualsivoglia interferenza normativa che confligga con la pienezza della sua estrinsecazione, avendo invero lo Stato figurativamente contratto l'obbligo di riconoscerlo e garantirlo non solo in quanto tale ma anche nella sua forma di contestualizzazione sociale ove è possibile compiutamente affermarlo.
Ed allora sicuramente intacca l'inviolabilità di tale diritto una previsione normativa che sanzioni penalmente il compimento, ad opera di terzi, di attività materiali che tuttavia non siano in grado di A incidere sulla primigenia libertà autodeterminativa delle escort nella gestione della propria corporeità in cambio di vantaggi patrimonialmente apprezzabili; in altri termini il contesto di apprezzamento sociale del diritto a tale libera autodeterminazione sessuale, quale necessitata modalità di estrinsecazione ed affermazione dello stesso, impone di configurare come lecite quelle forme di interazione che nascono proprio dalla sua inevitabile relazionalità con terzi, rendendo inesigibile la connotazione di penale illiceità nei riguardi di comportamenti intesi ad intermediare il contatto tra escort e clienti (reclutamento) ovvero ad offrirne occasione di più comodo esercizio (favoreggiamento).
Infatti una tutela costituzionalmente orientata di tale libertà non può tollerare limitazioni alla pienezza del suo consapevole esercizio e quindi deve espellere quelle forme normative che siano palesemente ostative proprio alla sua libera manifestazione.
In tale prospettiva appare immotivato continuare a pretendere che la rilevanza penale delle condotte latamente intermediative possa essere sorretta dall'esigenza di assicurare la libertà del titolare della posizione potestativa "dall'interferenza di terzi che dall'attività di prostituzione intendano ricavare un vantaggio economico ovvero in qualsiasi modo procurino condizioni favorevoli per l'esercizio della stessa rendendo possibile un 'inter-azione anche solo occasionale e non necessariamente abituale con chi sia disposto a comprarne i favori", secondo quanto ritenuto nella gravata sentenza (cfr. pag. 24).
Invero, l'eccepita incostituzionalità delle norme che sanzionano penalmente le condotte d'intermediazione agevolativa nei riguardi delle escort riguarda ipotesi comportamentali diverse e distinte vuoi da quelle ricadenti nell'ambito dello sfruttamento economico della prostituzione, secondo la previsione di cui all'art. 3 comma 1° nr.8 parte seconda Legge Merlin, vuoi da quelle generative dell'intendimento a prostituirsi (in quanto costitutive ovvero rafforzative della suddetta detenni nazione soggettiva), dovendosi in tale caso configurare l'induzione alla prostituzione di cui all'art. 3 comma I°nr.4 L. cit. parimenti estranea al presente contesto d'indagine.
Ne consegue che l'interferenza di terzi, non potendo riguardarsi come attività connotata da sfruttamento lucrativo ovvero da intromissione costitutiva della scelta a prostituirsi, appare scarsamente codificabile in termini di rilevanza penale delle condotte che ne siano espressione, dovendosi invero ritenere che la stessa non vada in alcun modo ad intaccare la scelta primigenia delle escort di autodeterminarsi sessualmente nel senso della cessione lucrativa della propria corporeità.
Ed è chiaro il riferimento innanzitutto ai comportamenti d'intermediazione che terzi pongano in essere allo scopo di consentire il contatto delle escort con il cliente, secondo la nozione tipizzata del reclutamento a fine di esercizio della prostituzione.
Invero qualsivoglia forma di reclutamento (per riprodurre l'ormai desueta espressione contenuta nella L.75/58) delle libere prostitute professionali (escort) presuppone che le destinatarie dell'intervento abbiano già optato per una libera e generalizzata offerta al compimento di prestazioni sessuali nei riguardi di terzi, per cui la loro segnalazione e/o selezione non fa altro che concretare, in forma specifica, quell'iniziale generica disponibilità all'incontro sessuale con il cliente, integrando mera modalità attuativa della libera autodeterminazione sessuale di cui si è detto in premessa ed essendo in ogni caso tale libertà garantita dalla facoltà indiscussa delle escort selezionate di rifiutare comunque la prestazione sessuale ove non ritenuta consona, secondo quanto pacificamente accreditato nella storicità della vicenda penale attinta dal presente processo.
Dunque l'interferenza di terzi si colloca all'interno del libero incontro sul mercato del sesso tra domanda ed offerta di prestazione sessuale e va a supportare il preminente interesse delle escort a segnalarsi, attraverso il meccanismo del reclutamento e/o favoreggiamento, quali persone contattabili ai fini di rendere favori sessuali verso privati clienti in cambio di denaro: ne consegue che tale interferenza, nello spaziare (come avvenuto nel presente processo) dal persuasivo convincimento sulla bontà del cliente all'indicazione delle modalità di presentazione della escort allo stesso, costituisce una mera modalità attuativa del suddetto libero incontro, collocabile all'interno della fase esecutiva della prestazione di servizio.
Ricostruito in tali termini il contesto operativo, la condotta di reclutamento ovvero di selezione delle escort deve considerarsi diretta conseguenza della loro libera scelta di porsi sul mercato del sesso e nella misura in cui appare idonea a consentire il celere incontro tra domanda ed offerta della prestazione sessuale costituisce indubbia occasione di affermazione della primigenia scelta di autodeterminazione sessuale costituzionalmente tutelata, a fronte della quale la connotazione d'illiceità penale (della condotta intermediativa) suona come inaccettabile limitazione del diritto di libertà sessuale della persona umana.
8. Se le sovraesposte considerazioni consentono di ritenere la previsione d'illeceità penale delle condotte di intermediazione di terzi violativa del diritto alla lìbera autodeterminazione sessuale delle escort, a diversa soluzione non può pervenirsi ipotizzando che tali condotte possano recare offesa alla moralità pubblica e al buon costume.
Invero la tutela della morale pubblica e del buon costume, nella misura in cui comporta l'inibizione penale delle condotte di reclutamento delle escort, va a costringere inevitabilmente l'espansione attuativa della presupposta libertà autodeterminativa sessuale ed offende il carattere inviolabile del relativo diritto: in altri termini, proprio la norma che vieta l'interferenza di terzi nel suddetto processo di selezione reclutativa, strumentale evidentemente a segnalare le escort sul mercato dello scambio sessuale ed a garantirne la massima visibilità di fruizione, costituisce insormontabile condizionamento alla libera esplicazione di tale prioritaria libertà costituzionalmente protetta, soprattutto ove si consideri che il bene della moralità pubblica e del buon costume si atteggia per sua intrinseca connotazione ad una genericità interpretativa tale da rendere difficilmente enucleabili condotte che alla scure della sua pretesa offensività possano utilmente sottrarsi.
9. Analoghe considerazioni devono svolgersi sul versante del favoreggiamento della prostituzione previsto quale condotta penalmente rilevante dall'art. 3 comma primo nr. 8) Legge Merlin.
Invero la valutazione di dubbiezza (ovvero di non manifesta infondatezza) di costituzionalità di tale disposizione appare evidente ove si abbia riguardo al diverso terreno d'incidenza della disposizione in esame, che intercetta pacificamente non già la fase dell'intermediazione tra domanda e offerta di disponibilità a liberamente prostituirsi (reclutamento) quanto quella in cui la scelta prostitutiva è in fase di concreta attuazione.
Orbene, se il favorire la libertà di prostituzione passa attraverso una gamma di variegate condotte attuati ve, in questa sede assume rilievo solo e sempre la tutela della libertà personale in materia sessuale, costituendo la sanzione d'illiceità penale formidabile deterrente all'attivazione, ad opera di terzi, di condotte che agevolino, anche in forma minimale, l'esercizio della prostituzione (come nel caso del presente processo che valorizza a tal fine la messa a disposizione di un'autovettura per accompagnare la escort presso il luogo d'incontro con il cliente ovvero per prelevarla da tale luogo).
Anche in questo caso occorre partire dal presupposto che il processo determinativo della escort al compimento dell'atto di meretricio si sia liberamente ed autonomamente confezionato, non potendo evidentemente l'agevolazione favoreggiatrice riconoscersi nei casi in cui la garanzia dell'ausilio del terzo abbia assunto valenza causale rispetto alla scelta prostitutiva, nel senso che in suo difetto la escort non si sarebbe determinata al compimento dell'atto sessuale (in tal caso dovendosi riguardare la connotazione ausiliatrice sotto il diverso e correttamente sanzionato profilo dell'induzione alla prostituzione).
Orbene, deprivata della componente determinativa del consenso genetico, la condotta ausiliatrice assume invece un connotato di difficile percezione disvaloriale, attestandosi sul piano di una mera strumentalità all'esercizio dell'atto di compiacimento sessuale e garantendo la perfetta esplicazione di quella libertà autodeterminativa sul piano sessuale che si è visto avere dignità ai sensi dell'art.2 Cost.
Il tutelare l'esercizio della suddetta libertà auto determinativa rappresenta, si è visto, preciso compito dello Stato che nel riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell'uomo, non può poi negare se stesso attraverso la deterrente collocazione delle condotte ausiliatrici della libera
prostituzione nell'alveo della qualificazione d'illiceità penale, così deprivando di garanzia attuativa l'esercizio stesso di tale libertà.
Ad analoga conclusione deve pervenirsi ove la condotta di strumentalità agevolativa espressione di favoreggiamento alla prostituzione si intenda lesiva del bene giuridico della moralità pubblica e del buon costume.
Invero l'evidente funzione di diretta strumentalità delle condotte di agevolazione alla realizzazione piena e puntuale della libertà di autodeterminazione in materia sessuale delle escort comporta inevitabilmente la costituzione di un vero e proprio vulnus all'effettivo compiersi di tale libertà ove esse (condotte) siano disincentivate per effetto della loro ricomprensione nella sfera del penalmente rilevante perché contrastanti con principi di moralità pubblica, non potendo la libertà tutelata dall'art. 2 della Costituzione ammettere deroghe al proprio portato di esclusività ed inviolabilità auto affermativa in ragione del quale non è concepibile che proprio l'ordinamento che si pone a garanzia di attuazione della stessa ne crei le ragioni di inibizione alla sua compiuta realizzazione.
La questione d'illegittimità costituzionale in relazione alla violazione dell'art. 41 della Costituzione.
10. Le considerazioni di cui sopra hanno ad oggetto l'illustrazione della necessità del vaglio di costituzionalità delle norme penali in tema di reclutamento e favoreggiamento della prostituzione ove caratterizzata la stessa dall'esercizio di un libero e consapevole esercizio del principio di autodeterminazione in materia sessuale quale peculiare atteggiarsi della libertà della persona umana.
Il riferimento alla necessità di tutelare tale umana e radicale libertà come esigenza prioritaria dell'ordinamento impone di riguardare alla medesima problematica sotto il diverso angolo prospettico della tutela della libertà all'esercizio auto determinativo della sessualità quale forma di estrinsecazione della privata iniziativa economica tutelata dall'art. 41 della Costituzione, nella misura in cui afferma che "1 'iniziativa economica privata è libera e non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana".
Si è già detto di come l'emersione sociale del fenomeno delle escort ovvero delle sex workers si vada a caratterizzare per la peculiare configurazione di un'adibizione solitamente professionale delle stesse all'erogazione della sessualità contro denaro o altra utilità patrimoniale, sicché l'elemento del vantaggio patrimoniale assurge a requisito indefettibile della configurazione sociale del fenomeno.
Orbene non vi dubbio che nel momento in cui si valorizza la scelta primigenia delle escort di fondare la loro attività sul presupposto della scelta radicale di auto determinarne la sessualità come fonte di redditività tassabile si entra nel campo del riconoscimento della possibilità di accreditare la gestione del proprio corpo come strumento di iniziativa economica privata.
Ne consegue che tale iniziativa, per essere rispettosa del dettato costituzionale, deve essere libera nella stessa misura in cui libera è la fonte primigenia di tale iniziativa (ovvero l'autodeterminazione lucrativa della corporeità), sicché non vi è dubbio che le forme di supporto agevolativo a tale iniziativa economica, quali quelle dell'intermediazione (reclutamento) e dell'agevolazione (favoreggiamento) al libero esercizio prostitutivo, ove ancora disincentivate dal carattere deterrente della loro inclusione nell'ambito della penale rilevanza, non possono avere libero giuoco e consentire la fisiologica espansione di tale forma d'iniziativa economica, privata della possibilità di evolversi al pari delle altre forme imprenditoriali operanti nel nostro ordinamento.
Il vulnus derivante dall'inibizione penale all'attivazione di fonte di sostegno alla libera imprenditorialità sessuale è davvero rimarchevole ove si pensi che, per un verso, alla escort dedita abitualmente alla suddetta attività viene preclusa la possibilità di assumere personale incaricato di curarne la collocazione sul mercato ovvero di pubblicizzarne la figura ai fini di implementare la connessa redditività, mentre alla escort che svolga occasionalmente il meretricio viene inibita la possibilità stessa di attingere il mercato della libera iniziativa economica non potendo dotarsi di collaboratori per avviare in termini professionali l'esercizio occasionale.
Trattasi indubbiamente di una ghettizzazione indebita del libero esercizio di una peculiare forma di lavoro autonomo che non trova giustificazione rispetto ad altre forme di professionalità riconosciute dall'ordinamento e che sicuramente contraddice la finalità del dettato costituzionale in tema di libera iniziativa economica privata, che si assume debba essere tutelata dal rischio del danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana.
La questione d'illegittimità costituzionale in relazione alla violazione degli artt.13, 25 comma I e 27 della Costituzione.
11 I cennati profili di verifica della costituzionalità delle norme poste a presidio della illiceità penale delle condotte di terzi interferenti con l'attività prostitutiva liberamente scelta ed esercitata, verifica sinora riguardata sul versante della tutela della libertà auto determinativa della persona umana e della sua iniziativa imprenditoriale, si arricchiscono di ulteriori valenze dubitative ed idonee ad ingenerare una valutazione di sospetta incostituzionalità ove si abbia cura di parametrare il suddetto giudizio al principio di offensività, che costituisce radice intima del sistema normativo penale e che si può correttamente declinare nel senso che non vi può essere reato senza l'offesa di un bene giuridico tutelato dall'ordinamento secondo la correlazione degli artt.13, 25 e 27 della Costituzione.
La questione del raffronto di costituzionalità delle norme penali in tema di intermediazione o agevolazione della condotta di libera autodeterminazione sessuale postula la risoluzione della problematica identificati va del bene giuridico protetto dalle richiamate disposizioni della cui offensività debba discutersi.
Su tale versante ritiene questa Corte remittente che sia coerente affermare come l'oggetto della tutela penale garantita dalle disposizioni della Legge Merlin sia quella stessa libertà di autodeterminazione sessuale che si è visto costituire diritto inviolabile della persona umana secondo il modello di cui all'art. 2 della Carta Costituzionale.
Ragioni di coerenza sistematica invero impongono di riguardare a tale libertà autodeterminativa, assunta a parametro di valutazione della compatibilità costituzionale delle norme che imprimono connotazione d'illiceità penale alle condotte che di essa libertà siano strumento attuativo, anche nell'ipotesi in cui si voglia invece assumere che tali condotte siano in grado di ledere essa presupposta libertà.
La connotazione storicistica dell'identificazione del bene giuridicamente protetto dalle norme affette da significativa dubbiezza di costituzionalità pare fornire in tal senso utile conforto ricostruttivo: invero il dilemma di appartenenza delle suddette norme al piano della tutela della libertà sessuale autodeterminata ovvero (ed anche) a quello della pubblica moralità e buon costume appare ormai risolto nel senso del definitivo abbandono delle ragioni che vedono nella Legge Merlin il presidio e garanzia della tutela paternalistica della pubblica moralità, per essere il dettato normativo ormai attualizzato sotto l'egida della tutela della persona umana e della sua libertà di scelta in campo sessuale.
Del resto all'iniziale collocazione dei reati contro la prostituzione nel titolo IX del codice penale ne segue, con l'avvento della Legge Merlin, l'esodo da tale inclusione sistemica, cui va a coniugarsi il progressivo depauperamento del medesimo titolo IX attuato con la L. 96/66, che ha significativamente sancito il definitivo oscuramento della tutela della morale pubblica e del buon costume nei reati sessuali, trasmigrati dal capo I del titolo IX al capo III del titolo XII, ove sono annoverati infatti i delitti contro la libertà personale.
Un passaggio annunziato si potrebbe dire dall'antecedente sentenza della Consulta nr. 561/87 affermativa del principio per cui la sessualità è "uno degli essenziali modi di espressione della persona umana" per cui "il diritto di disporne liberamente è senza dubbio un diritto soggettivo assoluto, che va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l'art. 2 Cost. impone di garantire", in tale affermazione cogliendosi il senso del viraggio identificativo dalla tutela della moralità pubblica alla tutela del diritto soggettivo della persona.
Le successive pronunzie sono tutte confermative del suddetto principio, come è agevole desumere dalla rilevazione operata da Cassazione 35776/2004 per la quale "il bene giuridico protetto dalla legge 20 febbraio 1958 n. 75 non è la tutela della salute pubblica, ma la libertà di determinazione della donna nel compimento di atti sessuali, garantita attraverso il perseguimento dei terzi che da tale attività intendono ricavare un vantaggio economico".
Nei medesimi termini si registra l'orientamento della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo che ha affermato, con la sentenza dell'I 1.9.2007, resa nel caso Tremblay contro Francia, essere la prostituzione incompatibile con i diritti e la dignità della persona solo quando oggetto di 'costrizione' e, quindi, a contrario compatibile e, dunque, affermativa degli stessi quando espressione di libera scelta.
Anche la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza nr. 16207/14 ha affermato, seppure argomentando in materia di induzione alla prostituzione minorile, che nel caso di prostituzione di persona maggiorenne la legge Merlin ha perseguito la finalità di riconsegnare all'alveo dell'attività del tutto libera, non sanzionabile da parte dell'ordinamento, l'esercizio del meretricio che sia frutto di una scelta non condizionata da fonne di coazione o di sfruttamento, per cui le sanzioni penali fissate dalla legge 20 gennaio 1958, n. 75 "debbono essere applicate a coloro che condizionano la libertà di determinazione della persona che si prostituisce, a coloro che su tale attività lucrano per finalità di vantaggio e, infine, a coloro che offrono un contributo intenzionale all'attività di prostituzione eccedendo i limiti dell'ordinaria prestazione di servizi, di modo che se l'interesse del terzo non condiziona il processo di volizione rientra nell'ordinaria prestazione di servizio che non è penalmente sanzionabile.
Infine, anche la recente pronunzia della Suprema Corte 49643/15 ha ribadito, con espresso riferimento all'ipotesi di favoreggiamento della prostituzione, come il bene protetto dalla norma di cui aH'art.3 nr.8 L.75/58 sia quello della dignità e libertà di autodeterminazione della prostituta che, se posto in pericolo per effetto di condotte volte a speculare sull'attività di meretricio fino a incidere sulla libertà di autodeterminazione, va salvaguardato attraverso la punizione di quella determinata condotta che abbia raggiunto tale risultato.
Orbene il descritto mutamento d'identificazione del bene giuridico tutelato dalla morale pubblica e dal buon costume alla libertà di autodeterminazione sessuale (anche sub specie contrattualistica della cessione lucrativa della propria fisicità) ripropone il problema interpretativo di fondo della effettiva od apparente pienezza di tutela che a tale libertà voglia accordarsi.
Se, invero, la tutela della libertà di autodeterminazione sessuale rifiuta concettualmente ogni forma di interferenza che incida sulla stessa condizionandone le modalità di estrinsecazione, non può allora non riconoscersi come l'inibizione delle condotte d'intermediazione agevolativa fondata su una ratio di tutela estranea ad esso concetto di libertà ovvero ricondotta al diverso parametro della morale pubblica e del buon costume costituisca una forma evidente di condizionamento di tale libertà che dalla suddetta inibizione trae ragioni di disincentivazione attuativa.
Peraltro, la tutela della libertà di autodeterminazione sessuale, intesa quale forma peculiare della libertà di autodeterminazione della persona umana, ha un fondamento giuridico che non contraddice neppure le esigenze della morale, apparendo a quest'ultima consono sancire, a fronte di tale inviolabile libertà, la soccombenza del senso collettivo ed indiscriminato (morale pubblica) che tale libertà diversamente concepisca e limiti nella sua compiuta affermazione (in fondo riproponendosi, mutatis mutandis, nella tutela della dignità di chi si autodetermini alla cessione lucrativa della propria corporeità la medesima esigenza di tutela della dignità umana riconosciuta nel caso Englaro, ove la salvaguardia del principio di libera autodeterminazione è stata spinta sino a legittimare la scelta terapeutica di porre fine alla protrazione della vita vegetativa).
Orbene, se il canale di ricerca della compatibilità costituzionale delle norme sanzionatorie delle condotte d'intermediazione agevolativa deve essere rappresentato dalla verifica della loro idoneità a ledere il bene giuridico protetto dal complesso normativo della Legge Merlin, non può che concludersi nel senso della superfluità o sovrabbondanza della tutela sanzionatoria penale a fronte di comportamenti che non hanno alcuna capacità di offendere ovvero di porre in pericolo il suddetto bene giuridico.
Invero anche sotto la prospettiva del principio di offensività (principio di indubbio rilievo costituzionale alla luce della sentenza or. 364/88 redatta dal Prof. Renato Dell'Andro) sia la condotta propriamente reclutativa (intesa quale intermediazione nella fase di incontro tra domanda ed offerta di libero esercizio prostitutivo) sia quella favoreggiatrice (ovvero ausiliatrice della fase di esercizio del libero meretricio) non solo non arrecano alcuna lesione alla suddetta e presupposta libertà autodeterminativa ma addirittura ne facilitano la piena attuazione, arrecando vantaggi ai soggetti che ne sono destinatari: invero se la escort sceglie liberamente di offrire sesso a pagamento chi le dà una mano nell'effettuazione di tale sua scelta produce un vantaggio e non un danno allo stesso bene giuridico tutelato.
Muovendosi in tale ottica la dubbiezza (o non manifesta infondatezza) della costituzionalità delle norme incriminatrici delle summenzionate condotte d'intermediazione agevolativa non può essere esclusa (e dunque permane) anche obiettando che la lesione del principio di offensività si possa ravvisare nell'avere le summenzionate condotte la capacità di interferire sulla libertà di autodeterminazione in quanto costituenti il primo passo verso lo sfruttamento economico del corpo della prostituta, come anche ritenuto nella sentenza di primo grado in sede di reiezione della questione di costituzionalità (pag.39).
La ragione offerta a sostegno della permanenza dell'offesa al bene giuridico tutelato non pare avere un senso logico tale da neutralizzare il sospetto d'incostituzionalità della previsione incriminatrice.
Invero non è ragionevole sostenere che una condotta di semplice agevolazione offerta alla prostituta nell'esercitare una libertà costituzionalmente protetta possa costituire il primo passo verso lo sfruttamento economico del suo corpo poiché è proprio la prostituta a volerlo sfruttare economicamente in attuazione della libera scelta effettuata in premessa: in altri termini la condotta agevolativa si inserisce in un processo che già vede realizzato l'utilizzo economico del corpo che la prostituta opera indipendentemente dall'ausilio di terzi, sicché tale ausilio non è causativo di alcunché ed è dunque privo di qualsivoglia offensività.
Né in senso contrario può argomentarsi ritenendo che la condotta ausiliativa abbia un portato di offensività siccome idonea a rappresentare il primo passo verso lo sfruttamento economico ad opera di terzi del corpo della donna.
E' invero agevole replicare, per un verso, che lo 'sfruttamento' economico della prostituzione rappresenta fattispecie autonoma di reato, secondo l'articolazione della Legge Merlin, rispetto a quella di reclutamento e favoreggiamento, e, per l'altro verso, che proprio il costruire l'offensività delle norme sanzionatorie della condotta d'intermediazione agevolativa in ragione di una supposta capacità di interferire con altre fattispecie penalmente rilevanti comprova che le stesse da sole non sono dotate di intrinseca offensività.
Analogamente infondata è la prospettiva concettuale che ritiene sussista offensività della condotta agevolatrice in quanto espressione d'interferenza di terzi che dall'attività di prostituzione intendano ricavare un vantaggio economico ovvero in qualsiasi modo procurare condizioni favorevoli per l'esercizio della stessa, rendendo possibile un'interazione anche occasionale con chi sia disposto a comprarne i favori (in tal senso pag. 38 sentenza di primo grado).
Anche tale argomento concettuale è infarcito di sovrapposizioni di piani valutativi e di contraddizioni sistemiche tali da ricondurlo ad un abusato giuoco di parole.
In primis, sostenere l'offensività della condotta intermediativa fondandone la ratio essendi sulla sua attitudine ad integrare una forma d'interferenza di terzi che dall'attività di prostituzione intendano ricavare un vantaggio economico significa, mutatis mutandis, ricadere nell'illogicità dell'ipotesi già vagliata, in quanto l'offensività non viene accreditata alla condotta agevolativa ma a
quella di sfruttamento-della prostituzione che è fattispecie distinta dalla prima, ad ulteriore comprova del vuoto di offensività che la condotta intermediativa possiede.
Se poi la ratio di offensività si intende risieda nell'interferenza che la condotta agevolativa determina nel senso di procurare condizioni favorevoli per l'esercizio della prostituzione appare illogico ritenere vulnerata la libera autodeterminazione della prostituta dall'esercizio di condotte che siano sintoniche a quella libera scelta e che addirittura la esaltino rendendone più favorevoli o agevoli le condizioni di svolgimento.
11.1. In proposito appare doveroso essere chiari e rimarcare che sicuramente le condotte (interferenti) prive di penale offensività debbono identificarsi in quelle che non condizionano la volontà della prostituta al libero esercizio della prostituzione, perché ove di condizionamento sia a parlarsi (nel senso della determinazione o rafforzamento dell'intendimento prostitutivo) ricorre evidentemente la figura dell'induzione alla prostituzione della cui legittimità costituzionale non vi è ragione di dubitare.
Invero, secondo quanto correttamente indicato nella sentenza della Suprema Corte di Cassazione nr. 16207/14, le sanzioni penali fissate dalla legge 20 gennaio 1958, n. 75 "debbono essere applicate a coloro che condizionano la libertà di determinazione della persona che si prostituisce, a coloro che su tale attività lucrano per finalità di vantaggio e, infine, a coloro che offrono un contributo intenzionale all'attività di prostituzione eccedendo i limiti dell'ordinaria prestazione di servizi".
Orbene fattività d'intermediazione nel cui ambito si collocano le condotte di selezione intermediativa ed agevolativa all'esercizio (reclutamento/favoreggiamento) non assume concreta offensività nella misura in cui riproduce e rispetta il perimetro di libertà segnato dalla scelta autodeterminativa della prostituta: in tali termini essa non può che rappresentare una mera forma di contribuzione nella fase di esercizio di tale libera scelta, attuata mediante la predisposizione di strumenti ausiliativi di ordinaria amministrazione, tali da non imprimere all'esercizio prostitutivo modalità od oggettualità difformi da quelle liberamente scelte dalla prostituta.
E' di tutta evidenza come forme di intervento di terzi che vadano ad incidere sull'organizzazione costitutiva dell'esercizio prostitutivo modificandone indebitamente la tipologia o l'assetto o la localizzazione di esercizio non si collochino più nell'ambito della figura di mero supporto esecutivo (mezzi di ordinaria prestazione di servizio) ma trasmodino nella direttività ovvero trasformino la natura contrattualisticamente autonoma della prestazione sessuale in prestazione erogata con caratteristiche similari alla subordinazione (potere direttivo di terzi) e segnino il passaggio dall'ino ffesività ausiliativa all'offensività subordinativa.
Analogamente-va disattesa l'ulteriore articolazione concettuale a tutela dell'offensività della condotta d'intermediazione agevolativa per la quale le condotte penalmente rilevanti sarebbero solo quelle dotate di rilevanza causale rispetto al concreto esercizio prostitutivo, con esclusione quindi di quella prive di siffatta attitudine.
Invero, se per condotta agevolatrice causale si intende la predisposizione di un ausilio idoneo a consentire la pratica attuazione di quella primigenia libertà di autodeterminazione sessuale della escort che altrimenti non si sarebbe potuta esplicare, allora non vi è ragione per confinare la condotta di agevolazione causale nell'ambito della penale rilevanza, concretando essa (condotta) il più idoneo strumento di attuazione della libertà voluta dalla persona destinataria dell'intervento.
Diversamente, ove la condotta ausiliatrice sia causale non in quanto interferente sulla pratica attuazione di una scelta già autonomamente assunta ma in quanto incidente sul processo di formazione della volontà di autodeterminazione sessuale della escort, allora essa va ad integrare una modalità d'induzione alla prostituzione e, quindi, acquisisce un diverso titolo di penale rilevanza.
Peraltro, alla difficoltà di distinguere in concreto la condotta ausiliativa causale da quella non causale, con espresso riferimento all'ipotesi del favoreggiamento alla prostituzione, si coniuga il rilievo per cui tale distinzione mal si concilia con la struttura a forma libera di tale reato che indifferentemente sanziona "chiunque in qualsiasi modo favorisca la prostituzione altrui", apparendo sufficiente, allo stato dell'arte, la capacità della condotta del terzo di favorire ovvero ausiliare, supportare la prostituzione indipendentemente dal livello di utilità ed efficacia contributiva che tale contegno realizzi nella concreta attività di meretricio.
Pertanto, una selezione nell'ambito di condotte ontologicamente ausiliative tra quelle causali e quelle non causali ai fini di ascrivere rilevanza penale solo alle prime introduce un evidente vulnus al principio di uguaglianza di cui all'art.3 della Costituzione, rimettendo all'arbitrio interpretativo la soluzione di un problema che è chiaramente figlio di una costruzione normativa dell'ipotesi di favoreggiamento distonica rispetto al principio di legalità (determinatezza e tassatività) di cui all'art. 25 comma 11° della Costituzione.
12. Né ai fini di risolvere la problematica dì perimetrazione delle condotte agevolative capaci di assicurare l'offesa al bene giuridico protetto e, quindi, di rientrare nell'ambito del penalmente rilevante può farsi ricorso alla pur abusata distinzione tra favoreggiamento alla prostituzione e favoreggiamento alla prostituta, quale speculare distinguo in cui troverebbero corrispettiva collocazione le ipotesi di condotta agevolativa causale e non.
Invero la cennata distinzione si traduce in una vera e propria forzatura concettuale ove si consideri che le due condotte sono naturalmente avvinte da un legame di reciprocità in ragione del quale la condotta favoreggiante ha il duplice risvolto di essere riguardabile sia dal punto di vista soggettivo, come aiuto alla prostituta, sia da quello oggettivo, come aiuto alla prostituzione.
Ne è prova evidente l'ipotesi di scuola dell'accompagnamento della prostituta da parte del cliente presso il luogo iniziale dell'incontro dopo la consumazione del meretricio: certo non si dubita che tale intervento favorisca la prostituta evitandole il disagio di dover raggiungere da sola e con i propri mezzi il suddetto luogo, ma è parimenti evidente come tale ausilio consenta alla suddetta di poter nuovamente e prontamente essere disponibile a nuovi incontri e, quindi, ne avvantaggi l'attività economicamente valutabile di prostituzione.
Ove non bastasse a tale inefficace distinguo non corrisponde quello tra ausiliazione causale e acausale in quanto ben può il favorire la prostituta assumere qualità di ausiliazione causale (si pensi ad una prostituta che abbia accettato l'incontro sessuale con il cliente in zona non servita da mezzi pubblici solo perché munita della garanzia di essere da questi riaccompagnata presso la postazione di lavoro) così come un'ausiliazione acausale essere idonea a favorire la prostituzione (si pensi all'intervento del terzo che riabiliti l'utenza cellulare di una prostituta garantendone la rintracciabilità da parte dei clienti).
Alla luce di tali considerazioni deve dunque concludersi per la strutturale inidoneità della condotte d'intermediazione agevolativa a ledere il bene giuridico tutelato dalle norme penali in materia di reclutamento e favoreggiamento di cui alla Legge Merlin e per il conseguente dubbio di costituzionalità delle stesse sotto il profilo del difetto di offensività.
La questione d'illegittimità costituzionale in relazione alla violazione dell'art. 25 comma II della Costituzione.
13. Un'indagine sulla problematica di legittimità costituzionale della Legge Merlin non potrebbe dirsi compiuta se non venisse esaminato anche il profilo della violazione del principio di legalità di cui all'art. 25 comma II Costituzione, con particolare riguardo alla sua connotazione di tassativa determinatezza.
Il problema non si intende porre in relazione alla fattispecie di reclutamento ai fini di esercizio della prostituzione poiché la formulazione della fattispecie normativa di cui all'art. 3 comma primo nr.4) prima parte L. 58/75 esige soltanto una forma di attualizzazione interpretativa della nozione di reclutamento; nozione evidentemente connessa al momento storico di approvazione della normativa suddetta, finalizzata alla rimozione dello sfruttamento della prostituzione siccome esercitata nelle cosiddette case chiuse.
Il problema, invece, si pone con riferimento al favoreggiamento della prostituzione (art. 3 comma primo n.8 prima ipotesi L.58/75) che si atteggia per definizione quale reato a forma libera intendendo punire "chiunque in qualsiasi modo favorisca la prostituzione altrui".
E tale problema (della cui rilevanza nell'ambito del presente processo si è già detto) non può risolversi assumendo che l'esigenza di determinatezza della fattispecie sia assicurata anche nei reati a forma libera (forma voluta al fine di garantire la più ampia protezione ai beni giuridici che si intendono tutelare) poiché, come si è visto, è proprio sul piano dell'offensività del bene giuridico tutelato che si pone il problema di identificare la tipologia della condotta favoreggiatrice idonea ad intaccarlo, essendo avvertita esigenza interpretativa quella di restringere l'area di applicazione della sanzione penale alle sole ipotesi che si connotino per una peculiare qualificazione della condotta favoreggiatrice, sia perché capace di creare condizioni favorevoli all'esercizio della prostituzione, sia perché causativa dell'esercizio prostitutivo, sia perché, comunque, significativa di ausilio alla prostituzione e non alla prostituta.
In altri termini il rifiuto di una migliore definizione della nozione di favoreggiamento, motivato dall'esigenza di garantire il più ampio spazio di tutela al relativo bene giuridico protetto, comporta la paradossale conseguenza di dover operare un'indebita selezione delle condotte di favoreggiamento penalmente rilevanti non in ragione della loro conformità alla generica fattispecie edittale ma sul piano della loro concreta capacità di realizzare l'offesa al bene giuridico protetto.
Dunque il vulnus al principio di determinatezza della fattispecie sussiste ed ha rilievo costituzionale poiché il tentativo di selezionare comunque le ipotesi in cui la condotta d'intrinseco favoreggiamento possa assurgere a rilievo penale equivale al riconoscimento dell'inadeguatezza della costruzione del delitto di specie come reato a forma libera se abbisognevole di ulteriori segnali di specificazione.
Il problema di costituzionalità peraltro si pone non tanto in relazione alla descrittività della condotta costitutiva del "favorire la prostituzione altrui" ma alla correlazione di tale generica condotta con il raddoppio d'indeterminatezza connesso all'utilizzo dell'espressione "in qualunque modo", di guisa che la sanzione penale pare davvero non conoscere limiti al suo spazio operativo.
Si è già detto di come sia fallace il tentativo di salvaguardare la compatibilità tra descrittività della fattispecie e indeterminatezza formale della condotta costitutiva ricorrendo all'espediente concettuale della distinzione tra ausilio alla prostituta ed ausilio alla prostituzione.
Tale inserzione concettuale è palesemente scorretta ove si consideri che il suo richiamo è intrinsecamente espunto dalla norma penale che nel punire il favoreggiamento della prostituzione chiaramente non pone riguardo alla diversa circostanza del favoreggiamento della prostituta.
Peraltro il vuoto di certezza identificativa della fattispecie ritorna in tutta la sua pienezza solo ove si consideri che, mentre il legislatore si è preoccupato di definire il reato di favoreggiamento (personale o reale che sia) tipizzando le relative condotte costitutive, altrettanto non ha fatto con riferimento al favoreggiamento della prostituzione, la cui perimetrazione concettuale viene allora realizzata attraverso un intervento correttivo esterno (si potrebbe dire favoreggiante!) ovvero assumendo quale linea di demarcazione della fattispecie la condotta di favoreggiamento della prostituta.
Si tratta tuttavia di un tentativo fallace che non può sanare l'indeterminatezza del reato sul quale intende intervenire, non essendo concettualmente possibile che una qualsivoglia forma d'ausilio alla prostituta, ovvero operato a causa e/o nell'esercizio della sua attività, non si riverberi in senso positivo sulla prostituzione stessa dalla medesima praticata.
Ma se sulla base di tale opzione interpretativa si vuol tutelare da incostituzionalità la carenza di determinatezza della fattispecie del reato di favoreggiamento (rendendola astrattamente compatibile con il principio di legalità) si ricade nella violazione ancor più inaccettabile del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., poiché condotte di pacifica idoneità ausiliativa vengono arbitrariamente sottratte alla scure della sanzione penale rispetto ad altre di pari efficacia strumentale al solo scopo di porre un limite alla caotica onnicomprensività della nozione di favoreggiamento della prostituzione.
14. Alla luce di tali complessive considerazioni appare adeguato sollevare la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 comma primo nr. 4) prima parte e nr. 8) prima parte della L. 20.02.58 nr.75, nella parte in cui configura come illecito penale il reclutamento (ai fini di prostituzione) ed il favoreggiamento del libero ed autodeterminato esercizio della prostituzione per contrasto con gli artt.2, 3, 13, 25 comma 2°, 27 e 41 della Costituzione.
P.Q.M.
La Corte di Appello di Bari - III Sezione Penale
Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza;
Solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma primo, nr. 4) prima parte e nr. 8) della legge 20.2.58 n.75, nella parte in cui configura come illecito penale il reclutamento ed il favoreggiamento della prostituzione volontariamente e consapevolmente esercitata siccome in contrasto con gli artt. 2, 3, 13, 25 comma 2°, 27 e 41 della Costituzione. Sospende il giudizio in corso sino all'esito del giudizio incidentale di legittimità costituzionale.
Dispone che, a cura della cancelleria, gli atti siano immediatamente trasmessi alla Corte Costituzionale e che la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, al Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Bari nonché al Presidente del Consiglio_dei Ministri e che sia anche comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
Bari,6febbraio 2018.
Il Presidente
Dott. Marcello de Cillis
Il Consigliere est.
Dott. Adolfo Blattmann D’Amelj
Il Consigliere
Dott.ssa Margherita Grippo

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